Sarebbe difficile spiegare perché, ma l’amore che si porta per Jane Austen spesso non ha nulla a che vedere con ciò che si prova per gli altri scrittori, anche i nostri preferiti: ci sono un’esclusività, un’instancabilità, una passione per il più piccolo e remoto particolare della vita e delle opere, una voglia di immergersi nel mondo che ha creato e raccontato, che non mi risultano nei fanatici di Flaubert o nei maniaci di Dostoevskij. Non ho notizia di appuntamenti danzanti che cerchino di ricreare la magia del primo ballo tra il principe Andrej e Natasha Rostova, non credo che nessuno si vesta più da moschettiere, il cinema e la televisione non hanno mai saccheggiato la pur sconfinata produzione di Balzac come hanno fatto con le sei opere di Jane Austen. Con lei, semplicemente, è diverso.
L’unicità della posizione di Jane Austen è ben rappresentata dalla fame che divora quasi tutti i suoi lettori: avere di più, dove più assume significati sempre nuovi. Più vita dei coniugi Darcy, Knightley, Wentworth da seguire. Più angolazioni da cui osservare le storie ormai mandate a memoria, come tanti fasci di luce che illuminino ciò che Jane Austen ha lasciato in ombra. Più matrimoni, mai scritti e nondimeno assai desiderati, tra quei pochi personaggi che la sua penna implacabile ha condannato al celibato («Come sarebbe a dire che il colonnello Fitzwilliam rimane da solo?»). Più declinazioni delle stesse vicende («Ma se Emma fosse un’adolescente contemporanea?», «E se Elizabeth avesse un vlog su YouTube?»), talvolta con variabili impazzite («E se a Longbourn arrivassero gli zombie? E se Mr. Darcy fosse un vampiro?»). L’importante è non smettere di pensarci, ricamarci sopra, allargare e tirare quelle poche storie giorno dopo giorno, per non farle mai finire.
Clueless (1995)
E così, si lavora alacremente — al cinema, alla BBC, sui forum e soprattutto, incredibilmente, ancora su carta. Le riscritture di Jane Austen sono un fenomeno così ampio che è ormai possibile individuare dei filoni, inizialmente esili ma che vanno irrobustendosi col trascorrere del tempo. Proviamo a passarli in rassegna.
Come vissero felici e contenti. I romanzi di questo tipo rispondono all’angoscia che tutti cominciano a provare, quando mancano venti o trenta pagine alla fine, alla prospettiva di dover abbandonare personaggi ormai amatissimi. Come sopravvivere senza l’arguzia di Elizabeth Bennet? Come abituarsi al silenzio finora riempito dalla chiacchiericcio instancabile di Miss Bates? Impossibile. E così ecco le cronache dei primi mesi di matrimonio, della nascita dei figli o dell’accasamento di chi è rimasto spaiato. Può anche capitare che si esca un tantino del seminato, come per esempio accade nei romanzi di Carrie Bebris: i suoi Darcy sono spesso protagonisti, in qualità di investigatori, di delitti e misteri da risolvere.
Un altro punto di vista. La curiosità del lettore non si limita a valicare il limite dell’ultimo punto fermo del romanzo: molto più spesso rimane chiusa dentro lo spazio della storia raccontata e vuole riempire i buchi. Ha bisogno di sapere, per esempio, quali emozioni agitano il cuore del capitano Wentworth quando incontra per la prima volta Anne dopo tanti anni (dei sentimenti di lei, in fondo, è informato nel dettaglio). Conosce a menadito tempi e modi dell’abbattimento dei pregiudizi che hanno offuscato la pur lucida Elizabeth Bennet, ma fa più fatica a immaginare la lotta di Mr. Darcy con il proprio orgoglio. O magari riesce a immaginare tutto, ma vuole anche vederlo scritto o forse soltanto sapere come se lo figura qualcun altro. Quando si tratta di colmare queste lacune, la campionessa in carica è Amanda Grange, autrice di una fortunata serie di diari che ci mostrano il negativo dei romanzi di Jane Austen spostando il punto di vista dall’eroina all’eroe. Mr. Darcy, Mr. Knightley, Mr. Bertram, Mr. Tilney, il colonnello Brandon e financo il malvagio Wickham si trasformano, nelle sue pagine, in infaticabili diaristi. E questa è solo la punta dell’iceberg: cinque minuti su Amazon saranno sufficienti per trovare almeno dieci riscritture di Orgoglio e Pregiudizio dal punto di vista di Mr. Darcy.
Una pista poco battuta. Jane Austen caratterizza tutti i suoi personaggi, anche quelli di contorno, con una tale grazia che non è affatto difficile incapricciarsi di uno di loro e rammaricarsi del poco spazio di cui gode nel romanzo (a me, per esempio, dispiace molto per la cattiva sorte di Mary Crawford e l’avrei voluta felice): niente paura, anche in questo caso è disponibile una pila di derivazioni. Uno degli esempi più noti è L’indipendenza della signorina Bennet di Colleen McCullough, che segue le peripezie della bistrattata Mary Bennet allorché, alla morte della sua augusta genitrice, si ritrova finalmente libera di seguire la propria strada.
Cambio di scenario. Questo è un pallino dei sostenitori dell’attualità dei personaggi e delle situazioni sociali sbeffeggiati da Jane Austen, nonché il filone secondo me meglio riuscito. Il procedimento è semplice: si prende la storia, si spostano le lancette di un paio di secoli o le location di qualche longitudine, si apportano i necessari cambiamenti nel linguaggio e nello stile di vita et voilà, la riscrittura è pronta. Il cinema gioca volentieri a questo gioco (due titoli al volo: Clueless, film del 1995 ispirato a Emma e ambientato in una high school di Beverly Hills, e Matrimoni e pregiudizi, che vede Mr. Darcy alle prese con una Lizzy… indiana), ma la riscrittura più nota rimane Il diario di Bridget Jones.
Paranormal activity. Esaurite le possibilità del verosimile, si comincia a gigioneggiare. Vampiri, zombie, mostri marini e creature orripilanti di ogni sorta invadono i piccoli villaggi di campagna in cui le eroine di Jane Austen credono — oh, illuse! — di essere al sicuro.
Ragione, sentimento e una piovra in uniforme
Questa breve panoramica non ha alcuna pretesa di esaustività. Tuttavia credo sia bene avere un quadro, quantunque impreciso, del profluvio di volumi scaturiti da Jane Austen perché mi preme mettere in chiaro che di tutto questo, nel mio blog, non si parlerà mai e poi mai, e non se ne parlerà per così tante ragioni che mi mancano le parole per elencarle tutte.
Innanzitutto, la lettura di una manciata di questi romanzi (ho frequentato sia la Bebris che la Grange, per non parlare di quella volta che mi è capitato sotto le mani l’atroce Orgasmo e pregiudizio — sì, c’è anche un filone pornografico che ho preferito tralasciare) permette subito di capire di che cosa si tratta: sfruttamento scriteriato di una vena aurifera. Quasi nessuno leggerebbe un romanzo in cui un’armata di zombie flagella un villaggio inglese del primo Ottocento, ma è sufficiente che questo villaggio si chiami Longbourn e che la cacciatrice di zombie sia una certa Elizabeth Bennet perché il romanzo venga venduto, letto e forse anche portato sul grande schermo. La strumentalizzazione del nome di Jane Austen a scopo di lucro è quanto di più lontano esista da un atto d’amore e di rispetto nei suoi confronti; al contrario, è una truffa volgare e noi dovremmo infuriarci come Zeus s’infuriò con Prometeo ogni volta che il grasso del mondo austeniano viene usato per lucidare le ossa di intrecci narrativi poveri, banali, scarsi, senza ciccia.
In secondo luogo, le pagine di Jane Austen sono tanto luminose, e le sue imitatrici così inadeguate, che ogni tentativo di replicare la magia diviene quasi grottesco. Nell’articolo definitivo sugli spin-off, che consiglio di leggere per intero, l’affanno di queste povere inseguitrici è più che mai chiaro:
Mr Bennet, too – all attempts to reproduce his sardonic voice and lancet-like humour just do not work for me. Here’s a less than sparkling sally from my nameless sequel, when Jane gives birth to a female junior Bingley: ‘… my dear Mrs Bennet … you will prove a sore perplexity to the neighbours: there are few who will believe it possible for one so handsome as yourself to be the recipient of another generation of offspring. How they shall wonder at it! Mrs Bennet a grandmother, they will exclaim, why, that cannot be!’ Now, how on earth can this wittering be thought worthy of the character who once exclaimed ‘O that he had sprained his ankle in the first dance!’ and who generally complimented his wife in these terms: ‘You mistake me, my dear. I have a high respect for your nerves. They are my old friends. I have heard you mention them with consideration these twenty years at least.’ Far more Miss Bates than Mr Bennet. I rest my case.
(Improving on Jane Austen. A Janeite asks: Why? Just… Why?)
Infine, questo blog incoraggia la lettura attiva e critica (non solo di Jane Austen) e considera gli atti immaginativi e interpretativi scaturiti da una pagina ricca di sottintesi e doppi sensi uno dei più grandi piaceri che la parola scritta sia in grado di donare. Perché mai dovrebbe essere Amanda Grange a spiegarmi cosa prova Mr. Knightley a Box Hill? Non è forse abbastanza chiaro? E come posso conciliarmi con l’inclinazione dei coniugi Darcy a fingersi Sherlock Holmes, quando in Orgoglio e pregiudizio si mostrano entrambi così ansiosi di ritirarsi in ‘all the comfort and elegance of their family party at Pemberley’ (cap. 60)?
Escludere deliberatamente il mondo delle riscritture potrebbe, a prima vista, lasciarmi tragicamente a corto di argomenti. La sfida invece è proprio questa: su Jane Austen, la sua Inghilterra e i suoi romanzi è stato scritto così tanto, e con tale competenza, che io so che si può parlare di lei all’infinito — e senza che si presenti mai la necessità di prestare attenzione a Catherine Morland e il mostro di Loch Ness (questo giuro che me lo sono inventato).